di Davide Parlagreco
Quanto siamo capaci di vedere realmente ciò che ci circonda?
Quanto siamo presenti a ciò che sta succedendo?
Leggere un doodle come se fosse un sogno, un sogno del signor Google
Oggi, il 20 Marzo 2020, Google attraverso un suo doodle ci ricorda di un medico ungherese, Ignaz Semmelweis, il quale a inizio ‘800 scoprì l’importanza di un’adeguata igiene per prevenire le infezioni, compresa la buona pratica di lavarsi le mani accuratamente.
Semmelweis venne soprannominato “il salvatore di madri” in quanto si accorse del collegamento tra scarsa igiene e infezioni, mentre lavorava all’ospedale di Vienna, intuendo che i medici che operavano senza le minime precauzioni igieniche andavano con molta probabilità ad infettare le madri partorienti, causandone spesso il decesso.
Partendo da questa ipotesi, fece utilizzare allo staff medico una soluzione igienizzante riducendo così del 90% le morti post-parto nel suo reparto!
Un dato così evidente da commentarsi da solo, eppure queste sue scoperte non furono affatto accolte dalla comunità scientifica del suo tempo, che anzi lo criticò aspramente.
Oggi l’attitudine a respingere le prove di una nuova scoperta quando contraddicono lo status-quo viene definito “riflesso di Semmelweis”.
Il riflesso di Semmelweis psicologicamente descrive l’atteggiamento dell’uomo quando sceglie di essere cieco di fronte alle evidenze, di combattere l’inevitabile cambiamento piuttosto che accoglierlo.
In termini scientifici descrive l’idea che l’establishment scientifico inizialmente rifiuterà una nuova scoperta “riflessivamente” (a priori), cioè senza una verifica sufficiente, e preferirà combattere piuttosto che sostenere l’autore se contraddice norme o credenze diffuse.
Leggendo psicologicamente questo doodle, come si farebbe per un sogno, in questo caso un sogno fatto da Google come “entità” rappresentante della collettività e applicandolo alla situazione attuale, possiamo notare come questo riflesso, questa attitudine a respingere le evidenze, abiti in molti di noi. Abita in tutti quelli che, anche quando i casi di infettati dal Covid19 salivano a quote preoccupanti e iniziavano ad esserci morti non soltanto nella popolazione più fragile, non gli davano peso, pensavano fosse un’influenza come un’altra.
Come può del resto un male così minuscolo colpire una civiltà così avanzata, una civiltà che non ha tempo e voglia di fermarsi a guardarsi intorno neanche quando è in ballo l’incolumità della collettività?
Coronavirus ed ecosostenibilità psicologica
Leggendo psicologicamente il fenomeno del Coronavirus nel suo complesso, possiamo notare come questo abbia generato un drastico ed immediato cambiamento nelle nostre vite, costringendoci a casa. Costringendoci a confrontarci con il vuoto lasciato dall’assenza della nostra routine.
Questa pandemia ci sta ricordando quanto sia piccolo e fragile l’uomo rispetto all’ecosistema, quanto ciecamente stavamo procedendo, immersi nella frenesia della società del consumo, nella quale ogni cosa ha un valore esclusivamente in funzione di un profitto.
Alla luce di tutto ciò, non siamo tutti un po’ simili a quegli scienziati che non hanno dato retta a Semmelweis?
Non siamo forse, chi più chi meno, ciechi di fronte al mondo invisibile?
Come gli scienziati che hanno contrastato Semmelweis, che non riuscivano ad intuire l’importanza di agenti microscopici, invisibili, nella morte di così tante persone, così noi siamo sempre più spesso psicologicamente ciechi di fronte a tutto ciò che è inconscio, a tutto ciò che sta sotto, che non è immediatamente riscontrabile, a tutto ciò che nella nostra psiche non ha per forza un’importanza direttamente misurabile.
Stiamo diventando ciechi nei riguardi di tutto ciò che compone la nostra interiorità, quel luogo in cui risiedono i nostri più profondi e preziosi significati personali.
Tutto ciò che sta nell’ombra, prima o poi chiede, necessita, pretende di venire alla luce.
Non a caso in questi giorni, diversi pazienti di età evolutiva tra quelli che seguo, specialmente quelli compresi tra i 7 e gli 11 anni (coloro che sono più sensibili ai temi dell’inconscio collettivo) sembrano essersi messi d’accordo nel riproporre, con un’insolita frequenza, durante il colloquio (attraverso fantasie, racconti e disegni) orchi, nani e tutte quelle creature che vivono sotto terra, dove l’occhio della nostra coscienza non può vedere.
In conclusione, così come tendiamo ad ignorare le necessità e l’avvelenamento del nostro ecosistema fino a che questo non si fa sentire, attraverso crisi climatiche, emergenze ed epidemie, così trascuriamo le necessità invisibili ma prioritarie della nostra psiche, finché queste non si presentano sotto forma di sintomi, di problemi, di sofferenza.
In poche parole possiamo dire che finora abbiamo dato prova di prenderci cura di noi, degli altri, della nostra psiche e del nostro pianeta, solo dopo che si sono creati problemi più o meno gravi.
In tal modo riveliamo di non saperci pre-occupare in maniera appropriata del benessere del nostro mondo e della nostra vita.
Siamo quindi destinati alla cecità perenne? A mobilitarci solo dopo che si è creata un’emergenza?