La Psicologia Archetipica è un movimento culturale innovativo che si è posto il compito di giungere a una ‛revisione’ della psicologia, della psicopatologia e della psicoterapia. È quindi una nuova psicologia, derivata dalla Psicologia Analitica e dall’opera di Carl Gustav Jung, il più grande psichiatra della storia, e trova una sua concettualizzazione e la sua massima espressione grazie a James Hillman, suo erede visionario e uno dei maggiori critici della cultura e del mondo contemporaneo.
La Psicologia Archetipica volutamente si collega con le arti, la cultura e la storia della società, le quali traggono origine dall’immaginazione come processo alla base dell’attività della psiche. Gli archetipi sono le forme primarie che la governano, e che si manifestano anche nella dimensione fisica, sociale, linguistica, estetica e spirituale. Questi modelli archetipici compaiono nelle arti, nelle religioni, nei sogni, nelle usanze sociali di tutti i popoli, e si manifestano spontaneamente nei periodi di stress e cambiamento, così come nelle malattie mentali. In questa prospettiva, la psiche viene ricondotta al corpo e alle funzioni della mente come entità unica ma policentrica, che può essere conosciuta nelle sue varie parti con i metodi di indagine di quella che è a tutti gli effetti una Psicologia del Profondo.
Avrete senz’altro sentito nominare la parola “inconscio”: Sigmund Freud, il nonno della psicoanalisi, lo riscoprì nei lapsus e nei sogni dei suoi pazienti, ed usò questo termine per indicare tutto ciò che nelle persone in qualche modo “parla” o succede spontaneamente” perché avviene dentro di noi senza che ne siamo coscienti. Tuttavia Jung ci fece capire che Freud commise quello che oggi potremmo dire un errore di “ego-centrismo” nel concepire l’inconscio non come l’origine di ogni vissuto emotivo e di ogni nostro comportamento, ma come il prodotto o la conseguenza della coscienza, cioè dell’io, che nell’uomo moderno è al centro di ciascun individuo, laddove l’inconscio costituirebbe invece tutto ciò che la coscienza non accetta. Secondo Freud noi “rimuoviamo” pensieri bizzarri, traumi e aspetti di noi imbarazzanti o indesiderati, rimuovendoli dalla nostra attenzione cosciente proprio perché non vogliamo vederli.
Jung, successore di Freud, nella sua grande opera dimostrò invece che l’inconscio non è il nostro personale “dimenticatoio”, come invece pensava Freud, ma che prima di tutto noi siamo immersi nella nostra vita inconscia e siamo da essa dipendenti, per cui la coscienza è solo un minuscolo frammento della psiche a cui prestiamo di volta in volta attenzione. L’inconscio personale è infatti costantemente connesso a quello degli altri esseri umani, nonché alle forze della natura e alle caratteristiche del mondo in cui viviamo, ovvero a ciò che egli chiamò “inconscio collettivo”, che in ognuno di noi si manifesta attraverso le sue forme originarie o archetipi.